Recidiva reiterata – profili generali e contestazione alla luce della sentenza delle Sezioni Unite n. 32318/2023.

(Cassazione Penale, Sezioni Unite, 25 luglio 2023 (ud. 30 marzo 2023), n. 32318 – Presidente Cassano, Relatore Zaza)

In tema di applicazione della recidiva reiterata senza previa dichiarazione e riconoscimento formale della recidiva semplice con una sentenza di condanna sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione enunciando il seguente principio di diritto: “Ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica ed adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice”.

Al fine di meglio comprendere il ragionamento compiuto dalle Sezioni Unite dev’essere premesso un breve inquadramento.
La recidiva reiterata com’è noto viene disciplinata dall’art. 99, comma 4 c.p. che la qualifica come circostanza aggravante ad effetti speciali poiché determina un aumento di pena superiore al terzo.
La recidiva deve considerarsi reiterata quando il recidivo commette un altro delitto non colposo, sostanzialmente la fattispecie che si realizza è quella in cui un soggetto già condannato in via definitiva per due volte, commette un terzo delitto non colposo, in questi casi, come detto, l’aumento di pena non sarà di un terzo, ma sarà un aumento fisso della metà e, qualora concorrano anche ulteriori circostanze aggravanti di cui al secondo comma dell’art. 99 c.p. (reato della stessa indole; commesso nel quinquennio successivo alla precedente condanna o commesso durante o dopo l’esecuzione della pena o nel tempo in cui il reo si è volontariamente sottratto a questa) l’aumento sarà di due terzi, si badi come in entrambe queste ipotesi la recidiva rimane facoltativa nell’an, ma qualora vengano riconosciuti sussistenti i presupposti l’aumento di pena è fisso in entrambe le ipotesi.
Posto tale iniziale e necessario inquadramento si deve ora osservare come l’applicazione della recidiva semplice, prodromica all’affermazione della sua variante reiterata, postula di due presupposti, uno di natura formale e uno sostanziale.
Per quanto attiene al presupposto di natura formale, questo viene generalmente ricondotto alla circostanza in cui il reo abbia già riportato una condanna definitiva per un delitto non colposo e, successivamente a questo, ne commetta un altro, sempre non colposo.
La giurisprudenza, tuttavia, ritiene che l’aumento di pena conseguente all’affermazione della recidiva non possa dipendere soltanto da un mero stato soggettivo derivante dal fatto che il reo abbia già riportato una condanna e si tende ad affermare come al presupposto formale se ne debba necessariamente accompagnare anche uno di natura sostanziale corrispondente ad una valutazione circa la sintomaticità del nuovo delitto commesso ad esplicare una maggiore pericolosità o colpevolezza individuale del reo il quale, non avvertendo i freni inibitori scaturenti dalla precedente condanna, continua a delinquere.
In questo modo si intende abbattere un automatismo nell’applicazione di questa aggravante onerando il giudice di un obbligo motivazionale circa la summenzionata maggiore pericolosità del reo manifestata con la commissione del nuovo delitto non colposo.
Solo all’esito del suo avvenuto riconoscimento la recidiva potrà validamente entrare nell’eventuale giudizio di bilanciamento delle circostanze ove potrà essere ritenuta prevalente (incidendo in questo modo sul trattamento sanzionatorio impedendo l’applicazione delle attenuanti), equivalente (determinando, di fatto, un aumento di pena derivante dalla mancata applicazione delle attenuanti) oppure subvalente (in questo caso si ritiene che la recidiva nemmeno trovi applicazione sebbene riconosciuta).
Quanto sopra merita di essere considerato non appena vengano in rilevanza i numerosi effetti secondari che derivano dalla sua concreta applicazione, specie se nella sua variante reiterata.
Dapprima, in relazione all’art. 69, comma 4 c.p. che, infatti, è stato oggetto in diverse occasioni di declaratorie di illegittimità costituzionale in relazione all’automatismo per il quale, nel giudizio di bilanciamento delle circostanze il giudice non può ritenere la recidiva subvalente rispetto alle altre circostanze attenuanti, ma potrà, al più, ritenerla equivalente.
Sul piano pratico questo automatismo, di fatto, comporta l’impossibilità per il giudice di poter praticare uno sconto di pena per effetto dall’applicazione delle circostanze attenuanti qualora si sia in presenza della recidiva che, a ben vedere, potrebbe comportare un aumento di pena anche minore dello sconto che impedisce.
Se, infatti, si considera l’eventualità in cui venga in rilevanza una circostanza attenuante ad effetto speciale, ad esempio quella prevista per la ricettazione di lieve entità, ove a fronte di una pena base nel minimo pari a due anni l’attenuante della ricettazione di lieve entità la porta ad appena quindici giorni, determinando con ciò uno sconto di pena pari a 48 volte quella prevista per il reato base e in questa ipotesi venisse in rilevanza la recidiva reiterata, da ciò conseguirebbe l’impossibilità di ritenerla subvalente rispetto all’attenuante ad effetto speciale con ciò determinando un corrispettivo aumento di pena, per ciò solo, pari a 48 volte quella prevista nell’eventualità in cui non vi fosse la recidiva.
Avvedendosi dell’irragionevolezza di questo automatismo la Consulta dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma 4 c.p. a più riprese con riguardo alle diverse attenuanti ad effetto speciale che di volta in volta venivano in rilevanza con ciò determinando una progressiva erosione del principio ivi sancito.
Un secondo effetto secondario conseguente all’applicazione della recidiva è quello inerente al tempo necessario a prescrivere il reato.
Come noto, infatti, il termine prescrizionale del reato viene correlato al suo massimo edittale aumentato, qualora vengano in rilevanza, dalle eventuali circostanze aggravanti ad effetto speciale, come la recidiva reiterata, a prescindere dall’esito del giudizio di bilanciamento.
In sostanza si considererà solamente l’aumento massimo derivante dall’applicazione della circostanza a senza che possa assumere sotto questo profilo rilevanza alcuna la sua ritenuta subvalenza.
Ciò, tuttavia, contrasta con il ragionamento logico per il quale il giudice nel momento in cui dovesse ritenere la recidiva come subvalente rispetto alle altre circostanze attenuanti evidentemente si orienta nel senso che questa non meriti di incidere né sul trattamento sanzionatorio, nemmeno con i suoi effetti secondari operando, sostanzialmente, un giudizio di disfunzionalità dell’applicazione della recidiva rispetto alla funzione rieducativa della pena.
L’aumento del termine prescrizionale per effetto della contestazione della recidiva, per converso, risponde alla diversa esigenza di rendere certi i termini prescrizionali senza incidere sul trattamento sanzionatorio, ma solamente sulla concreta perseguibilità del reato.
Posto questo inquadramento e venendo alla questione presa in esame dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione vertente sulla concreta possibilità di riconoscere la recidiva reiterata in capo ad un soggetto che pur già condannato per due volte per delitti non colposi, non sia comunque stato destinatario dell’ulteriore declaratoria di recidiva.
In sostanza la domande che ci si pone è la seguente: è necessaria la previa declaratoria di recidiva semplice affinchè possa essere contestata la recidiva reiterata?
La questione si incentra, dunque, sul chi possa effettivamente essere considerato recidivo ai sensi dell’art. 99, comma 4 c.p., si tratta di colui a cui è già stata applicata la recidiva o di colui che semplicemente commette un terzo reato nonostante le due precedenti condanne definitive a suo carico per delitti non colposi? È, quindi, possibile nei confronti di questi soggetti applicare direttamente la recidiva?
Le Sezioni Unite rispondo ai quesiti sollevati affermando come il contrasto giurisprudenziale fosse solo apparente e che questo derivasse da una cattiva lettura dei precedenti che riguardavano ipotesi in cui difettava il presupposto formale per il riconoscimento della recidiva non essendo ancora presenti i due giudicati penali di condanna per delitti non colposi richiesti.
La questione viene, quindi, risolta con la sentenza in commento affermando la possibilità di contestazione diretta della recidiva reiterata anche in assenza di una previa applicazione di quella semplice dovendosi valorizzare maggiormente il presupposto sostanziale e considerare il terzo reato commesso alla luce delle due sentenze di condanna definitive precedenti quale sintomatico di maggiore pericolosità e colpevolezza del reo reiteratamente insensibile ai freni inibitori posti dalle precedenti condanne.
Nel giudizio di affermazione della recidiva reiterata quindi dovranno concorrere necessariamente anche le due precedenti condanne che andranno a permeare anche il terzo reato in ordine alla sintomaticità di maggiore pericolosità o colpevolezza.
Questa valutazione dovrà, quindi, prescindere dal previo riconoscimento della recidiva semplice che finirebbe per legare la recidiva reiterata ad un formalismo con conseguente sacrificio dell’aspetto sostanziale.
Questo ragionamento è condivisibile anche qualora si consideri che il giudice della precedente sentenza di condanna può aver ritenuto di non riconoscere la recidiva per molteplici motivi, ma, dovendosi la valutazione compiere caso per caso, il giudice del terzo reato dovrà essere libero di poter riconoscere la recidiva reiterata anche in assenza della previa declaratoria di recidiva semplice senza scontare rigidità formali stridenti con la valutazione sostanziale che si accinge a compiere, anche se non ci si può esimere dal rilevare come questo finisca inevitabilmente andare a discapito dell’imputato che si vede contestata improvvisamente una pesante aggravante, valorizzando la sua natura sostanziale in sacrificio di un argomento formale che sebbene apparentemente di minore importanza non può comunque essere ignorato.
Dunque, secondo le Sezioni Unite quando il legislatore parla di recidivo nell’art. 99, comma 4 c.p. lo richiama impropriamente, non come soggetto a cui è stata applicata la recidiva, ma come soggetto che trovandosi nelle condizioni per essere dichiarato recidivo continua a delinquere.
Anche sul piano sistematico, del resto, anche quando il legislatore distingue il delinquente abituale da quello professionale opera un ragionamento simile.
In ciò viene in rilevanza l’105 c.p., laddove dispone che “chi trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità” è dichiarato delinquente professionale, quindi, anche in assenza di previa formale declaratoria di abitualità, in modo non graduale.
Questo è sintomatico di come anche livello sistematico il legislatore quando prevede una progressione e persistenza nel crimine e vi ricollega delle conseguenze non adotta un principio di gradualità.
L’ultima questione vagliata dalle Sezioni Unite attiene all’aumento del termine prescrizionale per effetto della recidiva, ciò che ci si chiedeva è: serve che sia contestata prima che sia decorso il termine di prescrizione?
Per essere più precisi, è possibile a questi fini che la recidiva venga contestata anche mediante una contestazione suppletiva in corso di giudizio o deve necessariamente essere contestata sin dall’inizio?
Una delle tesi in conflitto esaminata dalla Suprema Corte affermava come sebbene la contestazione suppletiva fosse fuori termine, la circostanza, da reputarsi ancorata al fatto, non lo era in quanto, com’è noto, il computo del termine prescrizionale deve eseguirsi tenendo conto anche dell’aumento massimo derivante dall’applicazione delle circostanze aggravanti ad effetto speciale, come nel caso della recidiva reiterata, con ciò aprendo la strada ad una sua possibile contestazione suppletiva in corso di giudizio con conseguente aumento del tempo necessario a prescrivere.
Una seconda tesi negava, invece, tale possibilità, affermando che il reato una volta prescritto deve considerarsi estinto ed assumendo, sotto questo profilo, la contestazione un’apparenza anche costitutiva, in sostanza significherebbe far rivivere un reato già estinto.
Le Sezioni Unite risolvono l’aporia sulla base di un aspetto processuale considerando l’obbligo imposto al giudice dall’art. 129 cpp di immediata declaratoria delle cause di non punibilità qualora reputate esistenti.
Quindi, qualora emerga l’estinzione del reato per prescrizione, il giudice ha l’obbligo di dichiararlo immediatamente.
Da ciò discende che la contestazione suppletiva della recidiva reiterata a cui dovrebbe conseguire l’aumento del termine di prescrizione e che presuppone la pendenza di un processo, si tradurrebbe in una violazione di un preciso obbligo del giudice che viene, in questo modo, portato in pregiudizio dell’imputato.
Le Sezioni Unite, con un ragionamento che si ritiene del tutto condivisibile, escludono, quindi la possibilità di una contestazione suppletiva della recidiva reiterata eseguita dopo lo spirare del termine di prescrizione.

Avv. Nicola De Stefani

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